martedì 27 dicembre 2016

Anteprima ASSOLUTA! Prologo del seguito de Il Divoratore d'Ombra



Come promesso, ecco la bozza del prologo del nuovo capitolo della Saga della Corona delle Rose, il cui titolo sarà: L'Obelisco dei Divoratori...
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Prologo…

«Dove sono?». Aprì gli occhi su un mondo divorato dalle fiamme.
Le pareti degli edifici circostanti crollavano in un fiume di lava che ne insidiava le fondamenta e a numerosi altri crolli, non troppo lontani, si aggiunsero numerose grida di dolore.
“Muelnor” si ripeté mentalmente, riconoscendo alle sue spalle l’ingresso ormai deformato della Cripta-Guscio e più in alto il mastio tenebroso del Maniero. La lava era ovunque; fratture nel terreno si aprivano come ferite aperte e sanguinanti; bocche che vomitavano lava si spalancavano dalle mura di pietra delle case; la cenere si mischiava a densi vapori prodotti dalle fiamme mentre getti di lava scaturivano dal terreno come fontane; sotto i suoi piedi scorreva un fiume denso e viscoso di roccia fusa, ma più che spiegarsi il motivo per il quale quell’inferno non gli nuocesse, una domanda più impellente lo assillava prepotentemente: “Dove vado?”. Lo pervadeva un forte senso di perdita, come se non gli importasse più nulla tranne che di se stesso. Colse all’improvviso un bagliore metallico e fu come spronato a muoversi, a doversi accertare di cosa fosse e gli risultò piuttosto facile e veloce spostarsi mentre il mondo gli crollava addosso; si avvicinò al baluginio e intravide la statua del Governatore Shabin prima inclinarsi da un lato e poi sprofondare nella melma incandescente.
«Ehi tu, aiutami!» gridò qualcuno, subito rapito da una tosse convulsa.
Sollevò il capo verso il punto da cui era provenuta quella richiesta e scorse la figura di un uomo abbarbicato sul piano inclinato di un piccolo portico. Era riuscito ad arrampicarsi fin lassù sfruttando la struttura arrugginita di un vecchio carro abbandonato, ma da lì non gli sarebbe stato facile raggiungere un punto più alto e sicuro.
«Ah no, aspetta, tu sei Crios, il Divoratore! Sei tu la causa di questo inferno!» gridò costernato, cercando di saltare più in alto possibile per aggrapparsi allo stipite di una finestra, invano.
“Il Divoratore…” pensò, fermandosi. Nella sua mente riaffiorò l’ultima immagine prima del buio. C’era il Divoratore che si dimenava e lui che si allontanava da esso, strappato via dalle Ombre; un senso di benessere e di pace lo aveva avvolto, subito oppresso da un’angoscia crescente prima del vuoto e del silenzio. “Sono un’Ombra adesso!”. E quell’uomo che tentava di sfuggire alla lava era Rodney. “Myls!” urlò nell’angoscia del suo animo tormentato. Il suo e i nomi di tutte le persone che aveva conosciuto in vita, quando era Crios, riaffiorarono come la pioggia di una tempesta in quello che non poteva essere più il suo cuore, i suoi sentimenti, devastandolo. Si portò le mani appena visibili alla testa e nell’esplosione di un tuono nella sua anima, gridò: «Logren!».
«Che vuoi che ne sappia io di quel ragazzo! Lasciami in pace, vattene! Non ho fatto niente!». Travolto dal panico, nella foga di sfuggire alla morte, già terribilmente ustionato, scivolò sulle tavole e vi sbatté le ginocchia, fracassando le tavole con una facilità inaspettata, piombando dritto nel fiume di lava sottostante. Urlando e dimenandosi si consumò tra le fiamme in pochi istanti.
Quello che era stato il suo mondo scompariva nella cenere di una notte di tragedie. «Perché non sono andato con le altre Ombre? Cosa mi trattiene su questa terra di disperazione?».
Non ricevendo risposta riprese a muoversi e si ritrovò a percorrere gli stessi vicoli percorsi con Logren la fatidica notte dell’arrivo del maestro degli Invocatori. Un senso di rimorso lo attanagliò. “Logren, amico mio, ho tentato di ucciderti, il risentimento era così forte dentro di me da avermi reso pazzo, cieco… perdonami, ovunque tu sia”. Seguendo il fluire della lava in uno stretto vicolo si ritrovò ben presto davanti al Palazzo dove Firial operava in segreto per conto dell’Haorian; non era mai riuscito a scoprire niente di più di ciò che stava tramando, ma non gli era mai neanche interessato, tutto preso da se stesso e dalla sua superba arroganza. La lava avrebbe divorato presto anche il Palazzo e le mostruosità che conteneva, seppellendo forse per sempre tutti gli orrori di quel mondo perverso. C’era un altro luogo che avrebbe voluto vedere sprofondare e stava per proseguire oltre, quando intravide una figura emergere dalle propaggini infuocate del Palazzo. Pensando di nascondersi provò a oltrepassare la parete adiacente all’ingresso, ma come quando aveva un corpo, non gli risultò possibile. “Sono un’Ombra, non un fantasma”. Non poteva attraversare le cose, ma forse poteva immergersi nella lava. La figura emerse proprio mentre si stendeva come un velo sul magma rovente e quando si rese conto di non riuscire a immergersi, era troppo tardi per trovare un nascondiglio alternativo. “Ti conosco” si disse mentalmente: era lo stesso Nirb che aveva spaventato Logren la notte che lo aveva portato ad assistere all’arrivo della vittima per la Cerimonia Solenne.
Il Nirb lo oltrepassò di pochi passi, si fermò, si voltò, ma non abbassò lo sguardo. Un particolare che non aveva notato al primo incontro lo incuriosì molto: l’occhio sinistro era verde come i muschi di uno stagno dall’acqua limpida e sembrava emanare un bagliore impercettibile, forse causato dal riverbero delle braci ardenti circostanti, forse segno di un potere misterioso. Il Nirb rimase immobile a scrutare il mondo intorno a lui come se avvertisse qualcosa di strano e l’Ombra di Crios provò a immaginare cosa avrebbe potuto fare nell’evenienza che venisse scoperto, ma quando l’uomo si mosse, allontanandosi, capì d’averla scampata. Poteva essere un mago di uno Tre Ordini del Bosco d’Inverno, ma era più probabile che fosse un seguace della magia arcana. Ma cosa era venuto a recuperare? Alla cintura portava appesa una sacca di pelle nera e il contenuto sembrava essere sufficientemente pesante e spigoloso da far pensare a un contenitore. Decise di seguirlo, tenendosi a debita distanza per avere il tempo di dileguarsi nel caso venisse scoperto.
Il Nirb percorse in tutta naturalezza la nuova via solcata da uno dei tentacoli di lava; non esistevano barriere di alcun tipo per le colate liberate dal Crogiuolo infranto e ormai la città vecchia era irriconoscibile, sembrava uno scheletro con le ossa fracassate.
Quando giunsero dove avrebbe dovuto esserci la Mezzaluna Panoramica, la prima cosa che lo colpì fu la Lancia di Fuoco smembrata, successivamente i fiumi di lava che si mischiavano ai fumi roventi che risalivano dalle propaggini. La gente nei palazzi urlava disperata, si sporgeva dalle aperture e mentre coloro che abitavano più in profondità bruciavano, precipitandosi nell’inferno nero, gli altri morivano soffocati, tra spasmi e dolori atroci, cercando una via di salvezza, percorrendo i ponti per raggiungere il punto più alto, fermandosi però dove lui, quando era Divoratore, aveva distrutto tutti i collegamenti con l’esterno.
“Che cosa ho fatto?”. Li stava uccidendo lui, morivano a causa della sua scelleratezza.
Il Nirb pronunciò delle parole sconosciute e i contorni della sua figura si smaterializzarono come lembi di una ragnatela strappata e rapita dal vento. La sua forma incantata si staccò dalla lava, oltrepassò la Mezzaluna e volò sopra le cuspidi, puntando verso la pianura che precedeva i confini della Foresta d’Argento.
Come poteva raggiungerlo? Non poteva volare, ma poteva percorrere tutta la Mezzaluna fino alle mura a ovest. La velocità non sembrava essere un problema e senza perdere di vista la cupa macchia dello stregone che si stagliava sull’inferno cremisi, lo precedette mentre planava sulla via commerciale e dove lo stava aspettando un grosso e robusto carro chiuso legato a quattro cavalli neri. L’Ombra di Crios si avvicinò al carro prima dello stregone e individuò due figure, due nani che conosceva molto bene: uno di loro sedeva a cassetta, indossava una sopravveste di velluto nero che quasi si confondeva con la sua pelle violacea ed era il Guardiano delle Celle nel Tempio; l’altro, che stava vicino ai cavalli, era Grestwear, l’Erbolaio; la sua faccia era per metà di pietra e non poteva essere confuso con nessun’altro. “Che cosa ci fanno qui?”.
Quando lo stregone riacquistò le sue forme, poco avanti al carro, Grestwear gli si avvicinò e il Nirb indossò dei guanti robusti prima di tirar fuori dalla sacca di pelle nera che portava appesa alla cintura un cofanetto di pietra con incise raffigurazioni di uomini di tutti i Clan sui lati e sul coperchio l’altorilievo di un unicorno. La scatola non era più grande della sua mano, non sembrava avere una serratura, ma si vedeva nitidamente la linea solcata del coperchio.
«Ditele che le porterò il Profeta molto presto!» pronunciò il Nirb, consegnando il cofanetto al nano, che lo prese senza nessun tipo di precauzioni.
Grestwear salì dietro il carro e l’altro nano lanciò un colpo di redini e indirizzò i cavalli verso la via per il sud.
L’Ombra di Crios si allontanò dalla scena prima che lo stregone potesse scorgerlo. “Che cosa devo fare, ora?”. Poteva seguire il Nirb, ma qualcosa dentro di lui gli suggerì che le loro strade si sarebbero comunque intrecciate di nuovo e dunque sarebbe stato meglio scoprire qualcosa di più del cofanetto. Raggiunse il carro e s’intrufolò al suo interno.

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